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Riflessioni della psicoterapeuta dott.ssa Generani ai tempi del Coronavirus

Riflessioni sulla psicoterapia ai tempi del coronavirus”

“La porta chiusa, la finestra aperta.

Riflessioni sulla psicoterapia ai tempi del coronavirus”

In un periodo in cui tutte le professioni sono chiamate ad enormi sforzi di adattamento ad una situazione nuova, imprevedibile, senza data di scadenza delle restrizioni e dell’emergenza, anche lo psicoterapeuta – pur non essendo in prima linea come i medici – deve rivedere la cornice di quel setting al quale è abituato ad affidarsi.

Le Istituzioni, per proteggerci, ci chiedono a gran voce di chiuderci nelle nostre case, di rimanere fermi, di restare a distanza. Come possiamo allora continuare a garantire quella vicinanza che orienta il nostro lavoro?

Leggo Recalcati su Repubblica del 14 marzo: “Nessuno si salva da solo: la mia salvezza non dipende solo dai miei atti, ma anche da quelli dell’Altro”.

E quando l’Altro è un adolescente affamato di relazioni, costretto a stare lontano dai compagni di classe e dagli amici, in una vicinanza forzata con quegli adulti dai quali ha bisogno di separarsi per potersi individuare?

Ho offerto in questi giorni a loro come agli adulti la possibilità delle sedute via Skype che non amo particolarmente poiché credo snaturi inevitabilmente la relazione terapeutica.

La risposta degli under 18 mi ha fatto riflettere: “posso prendere la bici e venire in studio; / preferisco venire in studio, tanto possiamo tenere la distanza di sicurezza; / possiamo rimandare il colloquio di qualche giorno così magari poi riesco a venire in studio ….”.

Chiedono quindi che la presenza sia garantita, ne hanno bisogno: vogliono vederci, leggere i nostri gesti, muoversi e sarebbero pronti a sfidare le prescrizioni per raggiungere quella stanza che hanno imparato a sentire come luogo protetto di parola, di ascolto, di condivisione.

Una stanza speciale che in casa si fatica a trovare, con le mamme, i papà, i fratelli che si aggirano nelle vicinanze.

La stanza della terapia rimane quel luogo privilegiato in cui lasciarsi contagiare dal paziente perché solo se ci si lascia contagiare dalla relazione terapeutica la persona che entra in studio potrà uscire diversa da quando è entrata. Il virus però ha chiuso le porte.

Come adulti, ancor prima che come terapeuti, dobbiamo aiutare i ragazzi ad aspettare, a tollerare la frustrazione insita nei “non si può”, a rispettare le regole: per mantenere viva la relazione possiamo allora chiedere aiuto alla tecnologia.

Sono o non sono nativi digitali? Sono o non sono iperconnessi? Certo, ma preferirebbero l’incontro dal vivo, preferirebbero continuare a confidare le loro cose alla persona intera e vicina, ma poi, come noi, si adattano.

In attesa che le porte si possano riaprire, nella fatica reciproca di rimanere confinati nello schermo di un pc, apriamo finestre digitali per far entrare la parola che cura.

Alessandra Generani, psicoterapeuta

Gallarate, 15.03.2020

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